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ABITAZIONE  12 |  3 | 4 |

Non essendoci ancora la corrente elettrica, la luce di sera nelle case era distribuita con parsimonia. Si faceva largo uso di lampade ad olio, fumose e maleodoranti. Abbastanza frequentemente sotto il pavimento venivano scavati "i catōji" (gr. katōgheion "sotterraneo"), che servivano come deposito e a cui si accedeva tramite un'apertura detta "catarāttu" (gr. katarrāktes "botola"). Accanto alla casa veniva allestito, in forma rudimentale, uno spazio per il pollame, "u gallhināru" e per il maiale "a zzėmba".Per rifornirsi d'acqua, la si andava a prendere alla sorgente o alla fiumara "ca cortāra", grande brocca a bocca larga, e con altri recipienti. Mancavano i servizi igienici e l'acqua corrente, per cui la pulizia era scarsa. Per i propri  bisogni gli uomini si recavano in aperta campagna, "arrčtu e pittāri" (dietro i fichi d'India), o "arrčtu a supāla" (dietro la siepe). Le donne si servivano di un vaso di lamiera smaltata o di terra cotta, "u cāntaru" (gr. kāntharos "vaso da notte"), detto anche "pisciatųri", "zzipčppi", "rināli".Alla fiumara era necessario andare anche per lavare i panni o la lana. La biancheria da lavare veniva prima "sciammarāta", cioč lavata con sapone fatto in casa con "sajėmi", murga d'ogghju e putāssa", ma non veniva risciacquata. Si disponeva poi in una grande cesta di canne, (" u cōfanu da vucata"), e si copriva con un panno.

LAVAGGIO AL TORRENTE

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