DIETRO     AVANTI     INDICE     HOME PAGE     BIBLIOGRAFIA

DAL '400 AL 600

     Essendo, nel XVI secolo, fallita la pretesa umanistica di valersi del latino come lingua letteraria, si riaccesero le polemiche intorno alla lingua e colui che propose una soluzione, che rimase salda per due secoli fu Pietro Bembo. Egli, uomo di corte e filologo, editore di Dante e Petrarca, era convinto che ogni lingua ha un'ascesa ed una decadenza: Anche la lingua italiana è destinata a tale ascesa, gli scrittori devono promuovere tale ascesa verso la perfezione rifacendosi alla tradizione del passato. Perciò devono prendere come modello il Petrarca e il Boccaccio, presso i quali l'italiano ha dato segni di vitalità. Ma bisogna prendere  a modello non solo per imitare ma per continuare e svolgere gli elementi di perfezione di cui è pieno il linguaggio italiano, ed era questo il concetto platonico della lingua applicato al volgare italiano.  Sostanzialmente, il Bembo prendeva  a modello il Petrarca e il Boccaccio, escludendo Dante, reo di aver fatto troppo spesso uso di parole popolari.
     Diversamente dal Bembo la pensavano altri letterati. Uno di questi fu Baldesar Castiglione nel suo Cortegiano, in cui afferma che la lingua comune (koinè) va ricercata nella lingua nobile e raffinata , parlata presso le corti. Per molti tale corte era da identificarsi in quella romana, dove molti scrittori toscani, al seguito di papi medicei Leone X e Clemente VII avevano trovato accoglienza e il romano stava perdendo i tratti in comune al meridionale per avvicinarsi alla koinè.
     L'avversario più deciso contro il Bembo fu Giangiorgio Trissino che nel Cortegiano sostenne, in linea con il Dante del De Vulgari Eloquentia, che la koinè doveva essere quella formata da tutte le parole comuni di ogni parte d'Italia, ma in tale disputa s'impose il Bembo.
     E l'Ariosto riscrisse, sul modello petrarchesco, prima di pubblicarlo, il suo "Orlando Furioso".
Vi furono tentativi da parte di scrittori quali Machiavelli, Giambullari, di rivalutare il fiorentino parlato rispetto a quello di Petrarca e Boccaccio. Tra le due correnti Benedetto Varchi, auspice Cosimo I De Medici tentò una mediazione tra fautori del toscano vivo e parlato e fautori del toscano letterario.
Comunque l'Accademia della Crusca restò chiusa a qualunque tentativo di innovazione. Il Salviati per salvaguardare il perfetto toscanismo organizzò scientificamente l'Accademia della Crusca, sorta nel 1583. E'del 1612 la pubblicazione del primo Vocabolario della Crusca che sancì la vittoria del fiorentino usato dagli scrittori nel Trecento.
     Dalla metà del Quattrocento a tutto il Cinquecento la letteratura italiana esercitò una grande influenza in Europa e l'italiano lo parlavano CarloV, Francesco I e persino la regina Elisabetta. Molte parole italiane furono adottate anche fuori dall'Italia.
     Grande fermento in Italia dove col fiorentino e l'influsso delle varie corti e dialetti si veniva sempre più delineando la lingua italiana.
     Col Seicento si veniva consolidando il toscano anche se per molti aspetti veniva messo in discussione.
Con le grandi scoperte scientifiche del '600 arrivavano nuove parole derivanti specialmente dal latino ma anche dal greco e dall'arabo.

DIETRO     AVANTI      INDICE     HOME PAGE     BIBLIOGRAFIA

- 4 -